IN ODE AL RUGLETTO DEI BELVEDERIANI
Domenica 15 ottobre, ospitato dagli amici del Rugletto dei Belvederiani creatori della Mùsola, si è svolto a Lizzano in Belvedere l’annuale convegno delle associazioni e gruppi di ricerca storica avente per tema “il dialetto –
Come si scrive?
Come si coltiva?
Qual è la sua origine?”.
Ogni gruppo ha portato un proprio contributo alla discussione. Oltre a rilevare l’estrema complessità, ai fini della successiva lettura, della scrittura del nostro dialetto, tutti gli intervenuti hanno evidenziato il gran valore storico e culturale della nostra lingua, ma anche il suo grave stato di salute. A detta di tutti, il nostro dialetto è destinato, nel volgere di un periodo relativamente breve, a diventare un reperto archeologico cristallizzato su pagine di carta o malinconiche registrazioni su nastro.
Da segnalare tra gli interventi quello del nostro Marco Sammarchi che, parlando rigorosamente nella sua lingua, ha redarguito tutti gli intervenuti per non essersi espressi in dialetto, per poi concludere con una classica barzelletta in dialetto bolognese.
Gli amici del Trebbo hanno invece prodotto un pregevole e simpatico
“documento”: la Gemma della Mascarella che ha raccontato ai presenti la storia della volpe e della gallinella, una delle tante storielle che si raccontavano durante le veglie.
Siamo giunti al capezzale del nostro dialetto? Forse, ma il nostro dialetto è una lingua viva e l’unica maniera di mantenerla tale è quella di parlarlo e farlo parlare. Fen ch’i è fiè , i è speranza.
Ma il tanto parlare faceva venire appetito e quindi la discussione è stata portata in un ameno locale di Monte Acuto dove il desinare ha stimolato il nostro prolifico Marco Sammarchi che ha dedicato una zìrudela ai padroni di casa:
Ringraziamento al “Massaro”
E mé, premma ch‘al veggna sira,
com ed solit a la mi manira
dop a sté gran bèl dsnèr,
a nom ed tott a voi ringrazièr
al sgner FILIPPI, GRAN MASSARO,
che al n‘é megga stè un’avaro
int al urdne'r totti al purtè
e se quast incu' l‘é capitè,
a voi preghèr San Franzasc
che al pènsir a gli veggna spass
e nuèter dal Gropp dal Sâs
sànza fèr un gran fracass,
a sperèn ed psèurov invidèr,
l'ann prossum, a un nôv dsnèr